marzo

duemilaventitre

“Coloro che sperimentano sugli animali non dovrebbero mai acquetare la loro coscienza dicendo a se stessi che queste crudeltà avrebbero uno scopo lodevole.”

ALBERT SCHWEITZER

VIVISEZIONE

Sperimentazione animale significa condurre interventi e test su diverse specie animali, causando loro forti sofferenze sia fisiche che psicologiche. Gli animali scelti per la vivisezione, vivono in laboratori, privati della possibilità di muoversi e di esprimersi, costretti a subire quotidianamente manipolazioni e test di qualsiasi genere che provocano stress, shock o privazioni. Questo tipo di ricerca annulla il diritto al benessere e alla vita dell’animale stesso, annienta il concetto di essere senziente, il riconoscimento della dignità propria dell’animale e della tutela dell’animale proprio in quanto essere vivente che prova emozioni e sensazioni.

Se si considera che ogni specie è differente a livello genetico, nessun risultato conseguito sugli altri animali sarà mai estrapolabile per l’uomo. Nessuna specie animale, compreso l’uomo, può costituire un modello sperimentale per nessun’altra specie. Gli animali sono così diversi dall’uomo che quello che si verifica nell’animale può essere simile a quello che avviene nell’uomo, diverso od opposto. Per questo motivo, quando si è fatto un esperimento sugli animali, è necessario e indispensabile ripeterlo nell’uomo.

È possibile una ricerca scientifica senza vivisezione? Si. I metodi alternativi sono ancora pochi ed è per questo motivo che risulta necessario supportare lo sviluppo di una ricerca senza sperimentazione animale.

Cosa possiamo fare?

  • Decidere di non fare donazioni alle associazioni per la ricerca che finanziano anche esperimenti su animali, come AIRC, AISM, ANLAIDS, Telethon, Comitato 30 ore per la vita e molte altre. Non dare il 5 per mille delle tue tasse a queste stesse associazioni o anche alle Università: TUTTE le facoltà ad indirizzo biomedico praticano la vivisezione.
  • Scegliere solo cosmetici, prodotti per la pulizia personale e detersivi “senza crudeltà” che abbiano la certificazione Icea e che abbiano aderito allo Standard senza crudeltà. Attenzione, l’etichetta “cruelty-free” apposta sul prodotto ha poco valore nel senso che si riferisce solitamente al prodotto finito, mentre il problema sono i test su animali per i singoli ingredienti che compongono il prodotto finito.
  • Comprare cibo per animali non testato, cioè di marche che non praticano la vivisezione (la maggior parte delle marche che si trovano nei negozi di cibi per animali e nei supermercati effettuano vivisezione su cani e gatti).
  • Informarci per diventare “pazienti volontari” a favore della ricerca.
  • Informarci sulle tecniche con cui sono stati studiati i farmaci.

La stragrande maggioranza degli esperimenti compiuti sugli animali sono quelli per i test “di tossicità” obbligatori per legge, cioè quei test che dovrebbero accertare la pericolosità di una data sostanza chimica per l’uomo. Altri esperimenti sono quelli compiuti invece nella ricerca biomedica di base, per lo studio delle malattie: in questo caso NON è obbligatorio per legge usare gli animali, però è quello che si continua a fare. Infine, una piccola percentuale di esperimenti sono quelli a scopo didattico-dimostrativo.

Per i test di tossicità sono state sviluppate negli ultimi vent’anni diverse metodologie:

    • colture di cellule e di tessuti umani, che permettono ai ricercatori di studiare specifiche parti del corpo umano. Ad esempio, cellule di sangue e tessuto canceroso servono a investigare sulle modalità con cui i virus causano le infezioni; la placenta umana può servire per provare se certi farmaci possono o meno passare la barriera placentale dalla madre al bambino.
    • Microorganismi: servono a provare il danno genetico causato da sostanze chimiche o radiazioni. Ad esempio, il test di Ames, basato su microorganismi, è un test di mutagenicità, cioè può identificare le sostanze chimiche che danneggiano il DNA delle cellule.
    • Modelli matematici computerizzati: esistono diversi sistemi di questo genere, per esempio “DEREK”, un programma sviluppato all’Univerità di Leeds il cui database contiene molte informazioni sulle reazioni allergiche.
    • Tecniche non-invasive per immagini: servono per la ricerca sul cervello, e consentono lo studio diretto del cervello umano, attraverso metodi sicuri e non invasivi, ad esempio la PET (Tomografia a Emissione di Positroni), l’elettroencefalografia, etc.
    • Sistemi artificiali: sono modelli in vitro che simulano una parte del corpo umano. Esistono modelli dell’intestino umano, della pelle umana, gli occhi artificiali, etc.

Per quanto riguarda la sperimentazione didattica esistono ormai centinaia di metodologie alternative già validate: 

    • modellini, manichini e simulatori meccanici animali e umani;
    • film e video;
    • libri di fotografie;
    • simulazioni computerizzate;
    • esperimenti su piante, microorganismi, colture cellulari e tessutali;
    • pratica clinica.

Per la ricerca biomedica di base, lo studio va fatto direttamente sull’uomo (studi clinici, epidemiologici, etc. come illustrato più oltre, ovviamente rispettando rigorosamente i limiti imposti dall’etica alla ricerca clinica), e per i test di nuovi possibili farmaci si possono usare colture in vitro di tessuti o interi organi umani. I ricercatori che abbiano a cuore la vera ricerca scientifica e non la propria carriera, hanno a disposizione metodi migliori dei test sugli animali:

    • la ricerca clinica. La maggior parte delle scoperte mediche (i cui successi vengono spesso attribuiti alla sperimentazione animale) sono dovute infatti ad un’osservazione clinica (sull’uomo) di un particolare fenomeno, che solo in seguito i ricercatori tentano di riprodurre negli animali, inducendo artificialmente in essi delle patologie. Essi variano le condizioni dell’esperimento, così come la specie di animale utilizzata, fintantoché non trovano una specie e una serie di condizioni per cui il risultato coincide con l’indicazione già nota fornita dall’uomo; e così il merito va “all’esperimento sull’animale”;
    • l’epidemiologia e la statistica. L’epidemiologia studia la frequenza e la distribuzione delle patologie nella popolazione; la statistica è invece la disciplina che si occupa del trattamento dei dati numerici derivanti da un gruppo di individui. Sono stati l’impiego della epidemiologia e della statistica che hanno permesso di riconoscere la maggior parte dei fattori di rischio delle malattie cardiocircolatorie quali l’ipertensione arteriosa, il fumo, il sovrappeso, l’ipercolesterolemia; senza impiego di animali nella sperimentazione.
    • lo studio diretto dei pazienti, tramite i moderni strumenti di analisi non-invasivi. Questi metodi consentono di ottenere ottimi risultati, come è stato riscontrato per le malattie cardiache;
    • autopsie e biopsie: le autopsie sono state cruciali per la comprensione di molte malattie; con le biopsie si possono ottenere molte informazioni durante i vari stadi della malattia. Per esempio, le biopsie endoscopiche hanno dimostrato che il cancro al colon deriva da tumori benigni chiamati adenomi. Questo è in contrasto con il modello animale più usato, in cui non vi è la sequenza adenoma-carcinoma.
    • Finora solo tre metodi sono stati validati, in Europa, e solo uno di questi rispetta il principio della “terza R”, cioè non fa uso di animali, vivi o morti, né di loro parti. Questi metodi sono stati accettati nel giugno 2000 dall’Unione Europea e si tratta di test di tossicità in vitro – due test per la corrosione cutanea e uno per la foto-tossicità:
    • Il test di foto-tossicità 3T3 NRU usa cellule derivate da embrioni di topo, quindi è ancora un test con uso di animali, anche se non in vivo. Devono comunque essere uccisi dei topi per realizzare questo test, e la sua rilevanza per l’essere umano sarà tanto scarsa quanto quella degli esperimenti che usano topi vivi. La foto-tossicità si riferisce all’effetto dell’esposizione della pelle alla luce dopo essere stata esposta alla sostanza chimica da provare.
    • Gli altri due test riguardano la corrosione della pelle, cioè i danni irreversibili alla pelle conseguenti all’applicazione della sostanza chimica da provare: il primo è un modello di pelle umana e NON usa cellule animali; il secondo, TER – Transcutaneous Electrical Resistance usa pelle di ratti uccisi “in modo umano” (valgono in questo caso le osservazioni fatte prima sulla mancata scientificità di questo metodo).

Nel modello di pelle umana si applica la sostanza chimica da provare per un tempo variabile, fino a quattro ore, su un modello di pelle umana tridimensionale. Nel test TER la sostanza viene applicata per un tempo lungo fino a 24 ore sulla superficie di dischi di pelle presa da ratti giovani preventivamente uccisi. Entrambi i test sono stati in grado di discriminare in modo affidabile, le sostanze già note tra corrosive e non corrosive. Il modello di pelle umana ha inoltre permesso la distinzione tra vari gradi di effetto corrosivo. La scelta di quale dei due test usare dipende dalle esigenze specifiche e dalle preferenze dell’utilizzatore. Questi nuovi metodi alternativi costituiscono il 27esimo emendamento alla Direttiva Europea 67/548/EEC. I tre test sono stati inclusi nell’allegato V della Direttiva. Gli Stati membri devono introdurre i nuovi metodi nella loro legislazioni nazionali entro il 1 ottobre 2001.

La disponibilità di tessuti umani

Il problema della disponibilità di tessuti e organi umani per la ricerca è effettivo e sentito: non sono disponibili abbastanza tessuti per soddisfare la richiesta delle industrie e dei centri di ricerca pubblici, in Europa. Questo è un problema importante, perché i metodi in vitro che usano tessuti umani non potranno sostituire quelli che usano animali finché non ci sarà abbastanza materia prima a disposizione, e questa sarà quindi un’ulteriore giustificazione per continuare a usare animali. Secondo l’associazione inglese Animal Aid, in UK vengono uccisi ogni anno 400.000 animali solo per usare i loro tessuti nella ricerca in vitro. Questi animali non vengono nemmeno conteggiati tra quelli usati per la vivisezione, perché su di essi non si fanno esperimenti in vivo, e quindi non risultano in nessuna statistica sugli animali usati per la ricerca. Chiaramente, la stessa ricerca in vitro fatta su tessuti umani, sarebbe molto più valida da un punto di vista scientifico, e salverebbe la vita di molti animali. La donazione per la ricerca può essere di due tipi: quella “da cadavere”, in cui i tessuti e gli organi vengono prelevati subito dopo la morte del donatore; e quella “da operazione chirurgica”, in cui si chiede semplicemente al paziente il consenso a usare il materiale di scarto ottenuto dall’operazione per la ricerca. Chiaramente, questa seconda via è da preferire, perché al paziente solitamente non interessa cosa viene fatto del materiale asportato, mentre la donazione post-mortem pone già delle questioni etiche più sottili.

I materiali che possono essere resi disponibili in questo modo sono vari: sangue, placenta, cordone ombelicale, tessuti asportati durante operazioni chirurgiche (pelle, viscere, ossa, cartilagini) o da biopsie. Nella maggior parte dei paesi europei, mentre il sistema per la donazione di organi per i trapianti è ben organizzato, non c’è alcuna linea guida sulla distribuzione del materiale non trapiantabile a fini di ricerca (tranne che per la stessa ricerca sui trapianti). In pratica, la distribuzione di organi e tessuti per la ricerca avviene solo all’interno di uno stesso ospedale o per conoscenza diretta tra singoli ricercatori e medici, ma non esiste una vera e propria organizzazione, tranne in UK, dove esiste la UKHTB, banca di tessuti umani per la ricerca. C’è inoltre la preoccupazione, fondata o meno, che questo tipo di donazione possa essere considerato “in concorrenza” con le donazioni per i trapianti e quindi malvista sia dal pubblico che dalle banche di tessuti esistenti (che si occupano solo di trapianti). In realtà, questo non avviene, perché molti organi e tessuti non sono comunque utilizzabili per i trapianti, mentre sono molto utili per la ricerca. Per esempio, per un trapianto di cuore l’organo viene asportato a cuore battente e la morte è solo cerebrale. L’organo di un paziente già morto non serve per i trapianti, ma per la ricerca sì. Inoltre, esistono molti organi e tessuti che non vengono utilizzati per i trapianti, mentre possono esserlo per la ricerca. Questo per quanto riguarda le donazioni post-mortem. Per le donazioni di materiale di scarto delle operazioni, il problema non si pone, perché questo non risulta di alcuna utilità per i trapianti. Perciò, al di là di ogni considerazione etica e scientifica sulla donazione di organi per i trapianti, la donazione per la ricerca non si pone mai in concorrenza con quella per trapianto.

Come si è visto da questa panoramica, i metodi alternativi sono in fase di sviluppo già da molti anni, ma ci sono ancora varie questioni che ne rendono poco applicabile l’uso:

  • problemi nella validazione di questi metodi, dovuta all’inerzia al cambiamento e a metodi di validazione troppo restrittivi e poco scientifici;
  • molti metodi alternativi non sono “sostitutivi”, cioè usano ancora parti di animali (uccisi appositamente), e questo non è accettabile né sul piano etico né su quello scientifico;
  • inerzia al cambiamento anche nell’uso di metodi già validati;
  • difficoltà nel reperire tessuti umani utilizzabili per i test di tossicità e la ricerca, non dovuti a una vera e propria mancanza di materia prima, ma solo a una mancanza di organizzazione e normative su questo tema;

Ciascuno di noi può fare qualcosa per far cambiare la situazione: occorre far sentire la nostra voce, in vari modi, affinché i legislatori tengano conto del parere dei cittadini su questo argomento importante e complesso, sia dal punto di vista etico che scientifico.

Scarica il calendario e usalo come sfondo del desktop