duemilaventitre
“Coloro che sperimentano sugli animali non dovrebbero mai acquetare la loro coscienza dicendo a se stessi che queste crudeltà avrebbero uno scopo lodevole.”
ALBERT SCHWEITZER
Sperimentazione animale significa condurre interventi e test su diverse specie animali, causando loro forti sofferenze sia fisiche che psicologiche. Gli animali scelti per la vivisezione, vivono in laboratori, privati della possibilità di muoversi e di esprimersi, costretti a subire quotidianamente manipolazioni e test di qualsiasi genere che provocano stress, shock o privazioni. Questo tipo di ricerca annulla il diritto al benessere e alla vita dell’animale stesso, annienta il concetto di essere senziente, il riconoscimento della dignità propria dell’animale e della tutela dell’animale proprio in quanto essere vivente che prova emozioni e sensazioni.
Se si considera che ogni specie è differente a livello genetico, nessun risultato conseguito sugli altri animali sarà mai estrapolabile per l’uomo. Nessuna specie animale, compreso l’uomo, può costituire un modello sperimentale per nessun’altra specie. Gli animali sono così diversi dall’uomo che quello che si verifica nell’animale può essere simile a quello che avviene nell’uomo, diverso od opposto. Per questo motivo, quando si è fatto un esperimento sugli animali, è necessario e indispensabile ripeterlo nell’uomo.
È possibile una ricerca scientifica senza vivisezione? Si. I metodi alternativi sono ancora pochi ed è per questo motivo che risulta necessario supportare lo sviluppo di una ricerca senza sperimentazione animale.
La stragrande maggioranza degli esperimenti compiuti sugli animali sono quelli per i test “di tossicità” obbligatori per legge, cioè quei test che dovrebbero accertare la pericolosità di una data sostanza chimica per l’uomo. Altri esperimenti sono quelli compiuti invece nella ricerca biomedica di base, per lo studio delle malattie: in questo caso NON è obbligatorio per legge usare gli animali, però è quello che si continua a fare. Infine, una piccola percentuale di esperimenti sono quelli a scopo didattico-dimostrativo.
Per i test di tossicità sono state sviluppate negli ultimi vent’anni diverse metodologie:
Per quanto riguarda la sperimentazione didattica esistono ormai centinaia di metodologie alternative già validate:
Per la ricerca biomedica di base, lo studio va fatto direttamente sull’uomo (studi clinici, epidemiologici, etc. come illustrato più oltre, ovviamente rispettando rigorosamente i limiti imposti dall’etica alla ricerca clinica), e per i test di nuovi possibili farmaci si possono usare colture in vitro di tessuti o interi organi umani. I ricercatori che abbiano a cuore la vera ricerca scientifica e non la propria carriera, hanno a disposizione metodi migliori dei test sugli animali:
Nel modello di pelle umana si applica la sostanza chimica da provare per un tempo variabile, fino a quattro ore, su un modello di pelle umana tridimensionale. Nel test TER la sostanza viene applicata per un tempo lungo fino a 24 ore sulla superficie di dischi di pelle presa da ratti giovani preventivamente uccisi. Entrambi i test sono stati in grado di discriminare in modo affidabile, le sostanze già note tra corrosive e non corrosive. Il modello di pelle umana ha inoltre permesso la distinzione tra vari gradi di effetto corrosivo. La scelta di quale dei due test usare dipende dalle esigenze specifiche e dalle preferenze dell’utilizzatore. Questi nuovi metodi alternativi costituiscono il 27esimo emendamento alla Direttiva Europea 67/548/EEC. I tre test sono stati inclusi nell’allegato V della Direttiva. Gli Stati membri devono introdurre i nuovi metodi nella loro legislazioni nazionali entro il 1 ottobre 2001.
La disponibilità di tessuti umani
Il problema della disponibilità di tessuti e organi umani per la ricerca è effettivo e sentito: non sono disponibili abbastanza tessuti per soddisfare la richiesta delle industrie e dei centri di ricerca pubblici, in Europa. Questo è un problema importante, perché i metodi in vitro che usano tessuti umani non potranno sostituire quelli che usano animali finché non ci sarà abbastanza materia prima a disposizione, e questa sarà quindi un’ulteriore giustificazione per continuare a usare animali. Secondo l’associazione inglese Animal Aid, in UK vengono uccisi ogni anno 400.000 animali solo per usare i loro tessuti nella ricerca in vitro. Questi animali non vengono nemmeno conteggiati tra quelli usati per la vivisezione, perché su di essi non si fanno esperimenti in vivo, e quindi non risultano in nessuna statistica sugli animali usati per la ricerca. Chiaramente, la stessa ricerca in vitro fatta su tessuti umani, sarebbe molto più valida da un punto di vista scientifico, e salverebbe la vita di molti animali. La donazione per la ricerca può essere di due tipi: quella “da cadavere”, in cui i tessuti e gli organi vengono prelevati subito dopo la morte del donatore; e quella “da operazione chirurgica”, in cui si chiede semplicemente al paziente il consenso a usare il materiale di scarto ottenuto dall’operazione per la ricerca. Chiaramente, questa seconda via è da preferire, perché al paziente solitamente non interessa cosa viene fatto del materiale asportato, mentre la donazione post-mortem pone già delle questioni etiche più sottili.
I materiali che possono essere resi disponibili in questo modo sono vari: sangue, placenta, cordone ombelicale, tessuti asportati durante operazioni chirurgiche (pelle, viscere, ossa, cartilagini) o da biopsie. Nella maggior parte dei paesi europei, mentre il sistema per la donazione di organi per i trapianti è ben organizzato, non c’è alcuna linea guida sulla distribuzione del materiale non trapiantabile a fini di ricerca (tranne che per la stessa ricerca sui trapianti). In pratica, la distribuzione di organi e tessuti per la ricerca avviene solo all’interno di uno stesso ospedale o per conoscenza diretta tra singoli ricercatori e medici, ma non esiste una vera e propria organizzazione, tranne in UK, dove esiste la UKHTB, banca di tessuti umani per la ricerca. C’è inoltre la preoccupazione, fondata o meno, che questo tipo di donazione possa essere considerato “in concorrenza” con le donazioni per i trapianti e quindi malvista sia dal pubblico che dalle banche di tessuti esistenti (che si occupano solo di trapianti). In realtà, questo non avviene, perché molti organi e tessuti non sono comunque utilizzabili per i trapianti, mentre sono molto utili per la ricerca. Per esempio, per un trapianto di cuore l’organo viene asportato a cuore battente e la morte è solo cerebrale. L’organo di un paziente già morto non serve per i trapianti, ma per la ricerca sì. Inoltre, esistono molti organi e tessuti che non vengono utilizzati per i trapianti, mentre possono esserlo per la ricerca. Questo per quanto riguarda le donazioni post-mortem. Per le donazioni di materiale di scarto delle operazioni, il problema non si pone, perché questo non risulta di alcuna utilità per i trapianti. Perciò, al di là di ogni considerazione etica e scientifica sulla donazione di organi per i trapianti, la donazione per la ricerca non si pone mai in concorrenza con quella per trapianto.
Come si è visto da questa panoramica, i metodi alternativi sono in fase di sviluppo già da molti anni, ma ci sono ancora varie questioni che ne rendono poco applicabile l’uso:
Ciascuno di noi può fare qualcosa per far cambiare la situazione: occorre far sentire la nostra voce, in vari modi, affinché i legislatori tengano conto del parere dei cittadini su questo argomento importante e complesso, sia dal punto di vista etico che scientifico.