duemilaventitre
“La vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad essere protetta dall’uomo dalla crudeltà degli altri uomini.”
MAHATMA GANDHI
La definizione di crudeltà è associata al maltrattamento nei confronti di animali, ed è da intendersi come “un comportamento socialmente inaccettabile che intenzionalmente provochi dolore, sofferenza, angoscia e la morte non necessaria ad un animale”. Molti studi universitari hanno portato alla luce che la violenza sulle persone è stata preceduta, per la maggior parte dei casi, da violenza perpetuata sugli animali, annoverando la “Pet Cruelty” come un primo indice predittivo di una futura condotta violenta.
La crudeltà nei confronti di un animale può manifestarsi non solo attraverso la più visibile forma di violenza nei loro confronti: safari, corride, il loro utilizzo nel trasporto dei turisti in mezzo alle città in periodi con temperature improponibili, i combattimenti clandestini o ancora agli estenuanti allenamenti per le esibizioni nei circhi. Questi abusi negano le 5 libertà degli animali, riconosciute nel lontano 1965 all’interno del Brambell Report, in particolare:
1. Libertà dalla fame, dalla sete e dalla malnutrizione;
2. Libertà dai disagi ambientali;
3. Libertà dalle malattie e dalle ferite;
4. Libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
5. Libertà dalla paura e dallo stress.
Il maltrattamento di animali, la loro uccisione, l’abbandono e la detenzione incompatibile con le loro caratteristiche etologiche sono comportamenti vietati e puniti dal nostro Codice penale che prevede che chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi o con la multa da 5 000 euro a 30 000 euro.
La crudeltà sugli animali è ignobile ma è anche il presagio di un danno sociale.
Il maltrattamento degli animali nell’età infantile, adolescenziale o adulta è un comportamento socialmente inaccettabile in quanto fonte di dolori e sofferenze non necessarie nei confronti di un essere vivente. Oltre a rappresentare un sintomo di una situazione patologica, tale fenomeno, laddove posto in essere da minori, potrebbe fungere da campanello d’allarme quale indice di pericolosità sociale futura. Per questo motivo, se individuato per tempo, può essere prevenuto al fine di evitare reiterazioni della condotta, con conseguenze ben peggiori.
“Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in homine” così si esprimeva Ovidio Publio Nasone più di 2000 anni fa e tradotto significa “La crudeltà su animali è tirocinio di crudeltà verso gli uomini”. Già all’epoca si era intuita la gravità a livello sociale di un certo tipo di atteggiamento e di come questo potesse essere predizione di sviluppo di una violenza futura agita nei confronti di vite umane in misura potenzialmente maggiore. Al giorno d’oggi il fenomeno interessa, in chiave processuale ed in termini di conseguenze giuridiche, una dinamica in cui a farne le spese sono l’animale stesso e “l’umano suo compagno di vita”, purtroppo spesso posti all’interno di vicende considerate ancora di serie b. Ma non solo. Il fenomeno interessa anche le politiche criminali odierne e la disciplina della vittimologia, ambiti che nel nostro Paese hanno risentito per molto tempo dell’assenza di studi scientifici in grado di correlare il maltrattamento di animali a certe condotte antisociali, devianti, criminali o di violenza interpersonale. La conseguenza è che talune vicende, che la letteratura scientifica nazionale ed internazionale individua essere gravi fattori di rischio, finiscono per essere considerate in modo diametralmente opposto, addirittura come fattori protettivi. Capita talvolta che le donne che denunciano atti di violenza agita in ambito familiare concretizzatisi “solamente” in aggressioni verso l’animale domestico da parte del proprio partner o ex partner, vengano rassicurate proprio in virtù del fatto che la violenza si sia manifestata e sfogata sull’animale e non sulla persona. Altro fattore non trascurabile è la comminazione di pene di lieve entità per chi si macchia di tali reati, prevedendo numerose attenuanti, sospensione condizionale della pena e messa alla prova le quali implicano, in virtù di un tentativo (paradossale) di recupero del reo in questione, la prestazione di servizio di volontariato, da parte di quest’ultimo, presso strutture con animali.
La crudeltà sugli animali è una sorta di preparazione a quello che può tramutarsi in violenza sull’essere umano o su un soggetto comunque più debole. Questa escalation di violenza, che spesso inizia nell’infanzia, se non individuata e “curata” sfocia in un allarme sociale che coinvolge inevitabilmente, ad un certo punto, non più solamente l’autore di reato stesso, ma tutta la collettività.
Il collegamento tra maltrattamento su animali e devianza e pericolosità sociale si fonda oggi su basi statistiche e ricerche scientifiche e prende il nome di LINK, che tecnicamente in ambito criminologico, psicologico, psichiatrico e delle scienze investigative sta ad indicare quella “stretta correlazione esistente fra maltrattamento e/o uccisione di animali, violenza interpersonale e ogni altra condotta deviante, antisociale e/o criminale – omicidio, stupro, stalking, violenza domestica su donne – minori – anziani, rapina, spaccio, furto, truffa, crimini rituali, crimini predatori, manipolazione mentale, ecc.” A conferma di ciò, è utile sottolineare come l’approccio al tema del maltrattamento di animali sia di matrice criminologica (negli Stati Uniti il lavoro in tale ambito è svolto dalla Behavioral Analysis Unit – BAU), psichiatrica e psicologica, ambiti strettamente attinenti allo studio dell’essere umano. Solo solo in via successiva si è verificata una estensione anche ad altri ambiti che riguardano più propriamente l’animale, come la medicina veterinaria e la biologia animale.
Primi passi anche in Italia in tema di maltrattamento animali e prevenzione.
L’Italia si attiene alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in merito alle modalità operative dei professionisti appartenenti all’ambito giudiziario, psicosociale, socioeducativo e sanitario, al fine di non sottovalutare situazione e/o comportamento alcuno, cercando così di superare la percezione del maltrattamento di animali come reato inferiore. Questo, infatti, seppur contemplato nel nostro ordinamento giuridico penale tra i delitti, non è classificato all’interno di specifici data base ministeriali, con la conseguenza che, comunemente, viene perduto quel senso di gravità a livello sociale di cui condotte del genere sono portatrici, non rendendosi spesso conto che tali fattispecie potrebbero costituire esattamente quel nucleo su cui impostare le politiche criminali e le relative indagini che condurrebbero ad identificare, punire e prevenire le cause principali di un’azione delittuosa. Vien da sé che la necessità, in primis, sia quella di (ri)conoscere i molteplici fattori che abbiano contribuito alla condotta criminale ed, affinché ciò si realizzi, è fondamentale condurre un lavoro interforze che ponga alla base dialogo e collaborazione tra professionisti dei diversi ambiti.
È in questo scenario culturale di aumentata sensibilità riguardo al diritto degli animali che si sono mossi i primi passi, seppur lentamente ed ancora in fase ancora primordiale rispetto al mondo anglosassone, portando nel 2005 a strutturare un reparto investigativo, specificatamente impegnato nei casi di maltrattamento di animali, all’interno dell’allora Corpo Forestale dello Stato (oggi Carabinieri Forestali) e due anni dopo alla creazione del N.I.R.D.A. – Nucleo Investigativo per i Reati a Danno degli Animali, che opera in riferimento alla normativa prevista dalle legge n. 189 del 2004 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”. L’associazione di promozione sociale LINK ITALIA nel 2014 ha stipulato un protocollo d’intesa con il Corpo Forestale dello Stato, il primo nel nostro Paese che vede quali firmatari congiunti un’Associazione di Promozione Sociale e un organo di Polizia Statale, affinché i reati di maltrattamento ed uccisione di animali non restino avulsi da studi scientifici e discipline giuridiche, criminologiche, investigative e psico-sociali, che permettano di correlare tali condotte criminali con altre fattispecie particolarmente cruente. Gli obiettivi verso cui si vuole tendere sono il mantenimento ed aggiornamento continuo di un database istituzionale condiviso tra forze dell’ordine, associazioni di tutela e ed operatori nell’ambito della protezione animali (il c.d. F.A.R.M.A., Fascicolo Accertamento Maltrattamento Animali), per la raccolta, osservazione e confronto dei dati nel nostro Paese, definendo piani di intervento e protocolli d’intesa tra operatori dell’ambito animale e operatori che si occupano di violenza interpersonale, al fine di giungere alla predisposizione di progetti legislativi e piani di sicurezza per le persone, prevenzione e controllo della violenza in ottica di cambio di paradigma che conduca a prendere in considerazione sempre più seriamente le implicazioni sociali che le crudeltà verso gli animali comportano, considerandoli quindi come reati di “serie a”.
Analisi statistica retrospettiva nelle carceri italiane
Anche nel nostro Paese sono stati condotti diversi studi, a partire dal 2012, tramite un’analisi retrospettiva all’interno delle carceri italiane. Uno studio particolarmente esaustivo e significativo al riguardo, condotto per tutto il 2016, ha raccolto i dati statistici su un campione di 682 detenuti, estendendosi poi ad un totale di 1087 casi comprendenti anche questionari on line, dati provenienti da mass media e partners.
I risultati sono stati inequivocabili. Di seguito si riportano alcune interessanti percentuali, in grado di fornire un oculato spunto di riflessione e di intervento.
Dei 682 detenuti l’89% ha assistito e/o maltrattato e/o ucciso animali da minorenne, il 61% di essi ha messo in atto la violenza. Il 41% ha dato come motivazione il fatto di dover sfogare rabbia e frustrazione nei confronti dell’ambiente familiare violento, abusante e negligente, emergendo difficili rapporti con il padre o con la madre. Il 29% lo ha fatto per un senso di rivalsa nei confronti di un’esistenza alienante e fatta di solitudine, vuoto, noia, difficoltà a relazionarsi con la gente. Il 62% dei maltrattanti ha appiccato incendi durante la propria vita. Età media di inizio crudeltà verso animali: 4 o 5 anni (nel 14% del totale). Il 3% ha commesso atti di zoofilia erotica. Nel 35% dei casi si è perpetrata la violenza in questione come parte integrante di altra condotta deviante o fattispecie criminosa. Il 19% dei casi contempla la componente sadica. Il 64% continua il maltrattamento anche in età adulta. Inoltre, chi ha assistito e/o maltrattato e/o ucciso animali da minorenne è ora detenuto per: maltrattamenti all’interno della famiglia (nel 94% dei casi), reati sessuali (90% di essi), reati connessi alla criminalità organizzata (98%), per omicidio (87%).
In conclusione è quanto mai importante comprendere l’importanza del valore predittivo che maltrattamento ed uccisione di animali hanno in funzione delle implicazioni sociali future. È fondamentale che ciò inizi ad entrare considerevolmente nella cultura del nostro Paese, perché ignorare oggi il problema significa sostenere il suo autore, significa creare terreno fertile per un aggressore o assassino di domani.