La recente decisione della Provincia di Piacenza di dare il via al massacro delle volpi nelle zone abitualmente vietate alla caccia con la solita, assurda, motivazione – si cibano di lepri e fagiani, specie oggetto di ripopolamento a fini venatori, ed entrano quindi in "competizione" con i cacciatori – incontra la decisa opposizione dell'Enpa.
«Dietro a questa scelta, già contestatissima dall'opinione pubblica italiana, non vi sono altri motivi se non quelli tesi alla ricerca di consensi elettorali dell'ultimo minuto», commenta l'Ente Nazionale Protezione Animali. «Secondo i vertici provinciali, dovremmo essere grati per aver fatto in modo di togliere la caccia alla volpe in tana, modalità estremamente cruenta e pericolosa anche per i cani impiegati – prosegue la Protezione Animali -. Quando si tratta di condannare a morte animali che tra l'altro svolgono un ruolo importantissimo nel controllo di specie cosiddette "problematiche", come ratti e nutrie, e che sono già specie cacciabili, l'Enpa e decine di migliaia di cittadini sono pronti a mobilitarsi e scendere in campo per salvare la vita di moltissimi esseri senzienti.»
Anche perché – denuncia l'associazione – negli abbattimenti non c'è nulla di scientifico. I presunti "danni" causati dagli esemplari in questione sono quelli arrecati alla selvaggina pronto-caccia il cui acquisto e la cui reimmissione per far divertire le doppiette è fonte di gravi squilibri ecologici. Oppure quelli causati agli allevatori che invece, con l'aiuto delle istituzioni, potrebbero mettere in sicurezza i propri animali con appositi ricoveri, eliminando così ogni rischio di predazione. D'altro canto, questo è proprio ciò che prevede la legge 157/92, la quale subordina gli abbattimenti all'applicazione di metodi ecologici proposti e verificati dall'ISPRA. E' però evidente che, invece di applicare soluzioni incruente e scientificamente efficaci, si voglia privilegiare la politica tesa ad un disperata ricerca di consensi.
«Ma si tratta – conclude l'Enpa – di una ricerca vana poiché i politici locali dovrebbero ormai sapere che i tempi sono cambiati e che il mondo venatorio rappresenta una esigua minoranza di fronte al vero "mare di dissenso" espresso dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica italiana.»