Lo stop alle etichette “cruelty free”, deciso con il DDL approvato ieri sulla cosiddetta carne “coltivata”, colpisce e penalizza un giro d’affari – quello dei prodotti a base vegetale – che autorevoli istituti di ricerca (GFI Europa/Essere Animali) stimano in almeno 680 milioni di euro e che negli ultimi anni ha conosciuto uno straordinario sviluppo. La crescita di questo segmento di mercato, sospinta dalla sensibilità animalista di un numero sempre più ampio di consumatori, è stata così impetuosa da indurre molte aziende del comparto carne o pesce a proporre sugli scaffali prodotti linee con prodotti “veg”. La censura sul naming dei prodotti, voluta da Coldiretti, scaricherà sulle aziende del comparto gli ingenti costi conseguenti non solo alla rebrandizzazione, ma anche alla realizzazione di nuovi packaging e di nuove etichette.
Quello che sostiene Coldiretti, cioè che la censura sul naming dei prodotti sia un mezzo per tutelare i consumatori, è una fake news che si fa beffe dell’intelligenza degli italiani. Chi acquista un “burger veg” non lo compra perché “ingannato” dal nome o dall’etichetta, ma – sottolinea Enpa – proprio perché si tratta di un prodotto con proteine vegetali ed è quindi “cruelty free”.
Peraltro, la tesi sostenuta dall’associazione degli agricoltori, che è la vera ispiratrice della legge “anti-veg” come peraltro di tutte le iniziative “zoofobiche” assunte in questi mesi dall’esecutivo (dalle norme di caccia-selvaggia ai piani quinquennali di uccisione della fauna), può portare a situazioni paradossali. Applicando alla lettera il “verbo Coldiretti” bisognerebbe mettere al bando il nome di prodotti come le uova di Pasqua, che non sono vere uova; le lingue di gatto, che nulla hanno a che fare con i felini in carne e ossa; la birra senza alcol, che proprio perché analcolica non è una vera birra; o il latte di mandorla, ben diverso dal latte di mucca . Ovviamente, nessuno si sognerebbe di farlo poiché si tratti di nomi puramente evocativi. Proprio come quelli dei prodotti “veg” contro cui Coldiretti sta combattendo la sua personalissima crociata
«In realtà, la censura delle etichette “veg” dimostra che l’associazione degli agricoltori ha poca fiducia nelle capacità di discernimento degli italiani, i quali non sarebbero in grado di distinguere un hamburger di carne da uno vegetale. Il punto invece è un altro: Coldiretti così come i suoi referenti politici, è impegnata in una guerra senza quartiere contro tutto l’universo “cruelty free” per favorire il sistema dannoso delle “fabbriche animali”. Sarebbe molto interessante conoscere al riguardo il parere di quegli agricoltori che operano nella filiera “veg” e che paradossalmente – conclude Enpa – potrebbero essere danneggiati proprio dall’associazione di cui fanno parte».