Trenta centesimi per dissetare il 4zampe. L’Enpa di Treviso: un goccio d’acqua non si rifiuta a nessuno e soprattutto non lo si fa pagare

Lettera aperta di Adriano De Stefano (Presidente Sezione Enpa di Treviso)

Noi trevigiani, per farci del male non perdiamo occasione e così tutt’Italia sta (s)parlando di noi.
Quella che Oltralpe è una consolidata consuetudine da decenni per noi è ancora un’eccezione. Una banalissima ciotola d’acqua per far abbeverare i cani dovrebbe essere un segno di civiltà raggiunto piuttosto che un motivo per essere derisi. Ma se anche così non fosse, o non del tutto, ma fosse anche solo un’operazione di marketing, per offrire un servizio anche al target dei possessori di cani… ,almeno non lo si faccia pagare adducendo scuse inverosimili sui costi di gestione.
È vero, e lo constatiamo ogni giorno con le continue segnalazioni di maltrattamento che ci giungono che la sensibilità nei confronti dei più deboli – nel nostro caso gli animali – da noi è ancora una strada in salita, un seme che dà pochissimi frutti. Un Paese dalle splendide leggi e dai pessimi comportamenti.

Eppure non sono mancati nel tempo, gli esempi edificanti. Dai privati, a partire da Giuseppe Garibaldi quando, nel 1871 fondò la nostra associazione – vedendo come venivano trattati i poveri animali da soma – e anche dalle istituzioni, come il Magistrato Civico di Trieste quando, nel maggio del 1877, con un pubblico avviso pose l’obbligo a “negozi, botteghe ed officine di tenere costantemente, durante tutta la stagione calda, esposto il prescritto recipiente d’acqua monda affinché i cani vaganti possano dissetarsi.” con relativa sanzione.
Va posto l’accento, a onore del magistrato, che l’avviso riguardava i cani vaganti, cioè i figli di nessuno, i cosiddetti randagi, attribuendogli il sacrosanto diritto d’essere dissetati.
Ma è proprio vero che una volta stavamo peggio?

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