Reggio Calabria, due cani randagi avvelenati nel giorno della morte della povera Simona. Enpa al Presidente Spirlì: “Se le istituzioni sono assenti, le tragedie diventano inevitabili”

Due cani randagi sono stati uccisi con carne avvelenata in località Arghillà a Reggio Calabria. Un terzo cane (che frequentava la zona e che si presume sia stato coinvolto nel caso di avvelenamento) è disperso. È successo questa mattina, nel giorno della morte della povera Simona Cavallaro a Satriano. Anche questa tragedia evidenzia l’assenza totale delle istituzioni in Calabria nella gestione del randagismo. Sul luogo dell’avvelenamento sono intervenuti volontari Enpa di Reggio Calabria, la Polizia Scientifica, la Asp. I corpi dei due cani sono stati portati all’Istituto Zooprofilattico per l’autopsia. 

A Reggio Calabria mancano i servizi minimi per la prevenzione del randagismo. Manca anche il servizio di recupero dei randagi. I due cani (più il terzo che non si trova) erano accuditi in strada da alcuni volontari; non sono mai stati microchippati, non sono mai sono stati sterilizzati. Insomma, c’è l’assenza totale dello Stato, della Regione, del Comune. Evidentemente la presenza dei randagi che sono stati avvelenati oggi non stava bene a qualcuno che ha provveduto a “risolvere” il problema con il veleno. 

Questo episodio – dichiara Carla Rocchi, presidente nazionale dell'Enpa – evidenzia nel giorno della tragedia di Satriano il vero problema della Calabria: l’assenza dei servizi minimi che pure per legge dovrebbero essere garantiti, e da trent’anni, per legge. Che dice, in proposito, il Presidente facente funzioni della Calabria Nino Spirlì? Vuole continuare a ignorare il problema e lasciare i cittadini nella disperazione e liberi di trovare presunte soluzioni fai da te? Se le istituzioni sono assenti e omettono di applicare la legge, le tragedie per gli umani e per gli animali diventano purtroppo inevitabili. Poi è inutile dichiarare il proprio sgomento di fronte alla morte di Simona. Per questo parliamo di responsabilità morale di una intera classe dirigente che ha mostrato la sua completa inerzia per trent’anni, da quando è entrata in vigore la legge 281”.

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