«Da domani l'umanità creerà, come accade ogni anno, un deficit nello sfruttamento delle risorse mondiali. Oggi infatti è l'ultimo giorno in cui vengono consumate le potenzialità che “Madre Terra” può offrire senza creare un autentico debito che graverà sulle spalle delle future generazioni di viventi: chiediamo al pianeta molto più di quanto esso possa dare. Ma i vegetariani non sono indebitati perché la loro impronta “ecologica”, il loro passaggio in questa vista, è leggera, leggera». Lo dichiara la consigliera nazionale di Enpa Annamaria Procacci, che sottolinea, come tra i principali responsabili di questa allarmante “situazione debitoria”, vi siano proprio gli stili di vita e le abitudini di consumo alimentare, ispirati al modello occidentale e seguiti da una parte consistente della popolazione, anche nei Paesi emergenti.
«Come tutti ben sappiamo, il pianeta è al collasso e uno dei fattori responsabili di questo shock è senza dubbio il prezzo pagato dalla Terra per mantenere tutto il sistema che ruota intorno all'industria e al consumo della carne – prosegue Procacci -. Infatti, secondo il Pacific Institute per fare arrivare sulle nostre tavole un solo chilo di carne di manzo sono necessari non meno di di 15mila litri d'acqua, circa dieci volte di più di quella necessaria ad avere a disposizione la medesima quantità di vegetali (dai 500 ai duemila litri a seconda delle coltivazioni). Un chilo di carne di manzo produce dunque un “disavanzo idrico” pari a circa 13mila litri, che, in un periodo di cambiamenti climatici e di preoccupante desertificazione, vengono così sottratti all'agricoltura e ad altri usi fondamentali per la vita».
Se si rapporta il dato al numero di bovini allevati in tutto il mondo (2 miliardi circa) si ottiene un cifra a quindici zeri, difficile persino a scriversi. E nel saldo negativo di questo sistema produttivo, che ogni giorno diventa sempre più insostenibile e che si nutre della sofferenza di miliardi di esseri viventi, occorre considerare non soltanto le risorse impegnate per alimentare e mantenere le “macchine animali” ma anche quelle “bruciate” quotidianamente per fare spazio alle fabbriche della carne. D'altro canto, non è un mistero che gli allevamenti, estensivi e intensivi, abbiamo colonizzato il pianeta, occupando ormai più di un quarto della superficie terrestre. Ciò significa che, come in Amazzonia, miliardi di ettari di terreno sono stati e vengono tuttora sottratti a boschi e foreste, per essere riconvertiti al pascolo o per essere destinati ad uso agricolo, con tutte le conseguenze che ciò comporta anche in termini di rilascio di CO2 in atmosfera. Terreni dove vengono prodotti foraggi per gli animali; non certo il cibo necessario ai bisogni di quelle 800 milioni di persone che ancora oggi soffrono la fame.