«La scienza ha da tempo chiarito che la caccia di "selezione" è inutile e dannosa. Ciononostante, la Regione Marche, forse con la speranza di guadagnare briciole di consenso, continua a seguire la strategia anacronistica delle uccisioni di animali, in particolare di cinghiali. E lo fa non solo calpestando la legge nazionale e le sentenze di Consiglio di Stato, ma mettendo a rischio la pubblica sicurezza dei cittadini, come dimostrano le numerose "morti da doppiette" avvenute in queste settimane». Lo dichiara Andrea Brutti, dell'Ufficio Fauna Selvatica di Enpa commentando le misure varate ieri dalla Regione, che, di fatto autorizzano caccia no limits ai cinghiali, perfino nelle aree protette.
Il risultato finale di questo provvedimento – ma evidentemente il presidente delle Marche non ne ha conoscenza – sarà la destrutturazione della piramide delle classi di età, che, a sua volta, andrà ad accrescere il potenziale riproduttivo degli animali. Ad aumentare tale potenziale contribuirà anche la dispersione dei branchi causata dall'uccisione della matriarca, sempre per mano dei cacciatori. I quali, evidentemente, non hanno alcun interesse a risolvere eventuali problemi di sovrannumero delle specie perché così facendo impoverirebbero il proprio carniere. E infatti, operazioni di questo tipo, si concludono sempre con un aumento e non con una diminuzione delle popolazioni di animali. «Se si volesse veramente risolvere il problema – prosegue Brutti – si farebbe prevenzione, applicando quelle metodologie ecologiche che la legge 157/92 impone, invece di concentrarsi su abbattimenti che vengono "autorizzati" da oltre 25 anni senza risolvere nulla».
Dagli autovelox ai dossi artificiali, dalla positive esperienza del progetto europeo life strade fino al rimborso dei danni accertati, gli strumenti per prevenire e risolvere eventuali problemi di convivenza con i selvatici sono già disponibili e, dove efficacemente applicati, hanno dato risultati molto positivi.
«Inoltre – conclude Brutti – la legge 157/92 non prevede in alcun modo che le uccisioni di animali siano compiute da figure come quelle dei selecontrollori o dei cacciatori. Peraltro, tale principio è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale con ben 4 sentenze». Sul punto, dunque, non vi possono essere né dubbi né equivoci, più o meno strumentali.