In Italia, negli anni ’70, erano rimasti, concentrati in Abruzzo e Calabria, poche decine di lupi; lo Stato italiano, con apposite leggi, si è saggiamente assunto la responsabilità di proteggerle dall’estinzione, provocata non da eventi naturali, ma da innaturali azioni disumane. In Trentino Alto Adige il lupo è scomparso nella seconda metà dell’800 a causa della persecuzione dell’uomo con ogni mezzo quali fucili, veleno e trappole. Oggi, nei boschi del Trentino oggi si contano solo pochi esemplari.
I lupi non attaccano l’uomo né sono reintrodotti o paracadutati; hanno, invece, riconquistato habitat disponibili. D’altro canto, le loro popolazioni non crescono all’infinito, ma in base alla risorse alimentari: il numero si stabilizza e non aumenta. «Non ci sono mai troppi carnivori nell'equilibrio della natura, ce ne sono tanti quanti la catena alimentare ne consente», spiegano gli esperti del Parco della Majella.
I lupi sono animali sociali culturali, perché trasmettono alle nuove generazioni le gerarchie di branco, le strategie di caccia, la diffidenza verso l'uomo e l'attitudine a tenersene lontani. Perseguitare i lupi può portare alla dispersione dei branchi: i singoli individui non più in grado di cacciare prede selvatiche, punteranno agli animali cosiddetti da allevamento, più deboli e più esposti agli attacchi.
Per questo, come dimostrano studi e ricerche sicentifiche, i metodi ecologici di prevenzione – già disponibili – sono i più efficaci; invece, l’abbattimento dei lupi, che gli amministratori vogliono per compiacere allevatori estremisti e cacciatori, non risolve eventuali conflitti ma li amplifica.