Le proteste non fermano a Yulin il festival della carne di cane, ma cresce il dissenso dei cinesi

Un milione e mezzo di firme e una protesta che ha toccato tutti i continenti non sono bastati a convincere le autorità cinesi a fermare il famigerato “festival” di Yulin dove si consuma carne di cane e dove, anche quest'anno, si è svolta la macabra mattanza. Moltissimi dunque sono stati gli animali trucidati in nome di una presunta “tradizione” – qualcuno un tempo scrisse che in nome delle tradizioni si compiono i crimini più efferati – eppure, in uno scenario così tragicamente desolante, non è mancato qualche bagliore di luce; l'esile speranza di un cambiamento non troppo lontano nel tempo.

La speranza, in questo caso, ha avuto il volto e il nome di Yang Xiaoyun che ha speso più di mille dollari per comprare un centinaio di cani destinati al macello salvando loro la vita, e di tutti quei cinesi, spesso ignoti alle cronache dei giornali, che sempre più numerosi protestano contro l'assurda mattanza e, più generale, contro i maltrattamenti.

Insomma, anche da uno dei Paesi ritenuto più indietro nella tutela e nel rispetto degli animali sta arrivando qualche timido segnale di cambiamento: di strada da percorrere ce n'è ancora molta, ma nella società cinese qualcosa inizia a muoversi e forse, in un futuro non troppo distante, il festival di Yulin potrebbe essere soltanto un brutto ricordo. Un incubo dal quale il mondo intero si è svegliato.

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