Canili di Roma, i lavoratori della Muratella: il benessere degli animali innanzitutto. Ma il Comune non torna sui suoi passi e nega la sospensione del bando

Tra  due settimane (il 21 ottobre, ndr)  il Tar del Lazio potrebbe accogliere i ricorsi presentati dall'Associazione Volontari del Canile di Porta Portese contro il bando di Roma Capitale per la gestione dei canili comunali, ma l'amministrazione ha rispedito al mittente la richiesta di sospendere l'assegnazione dell'appalto in attesa che la giustizia amministrativa si pronunci sulla questione. Lo hanno reso noto i lavoratori del canile della Muratella durante un incontro con la stampa, tenutosi oggi (6 ottobre, ndr) presso la struttura municipale occupata da più di una settimana come protesta contro la privatizzazione dei canili romani.

Il percorso con cui si è arrivati alla pubblicazione del bando di gara nel mese di agosto e alla successiva vittoria della società multiservizi barese – hanno evidenziato i lavoratori – si è intrecciato con le ben note vicende di Mafia Capitale, al punto che un primo bando indetto dal Comune nel 2014 è stato sospeso in autotutela dalla stessa amministrazione nel gennaio 2015, per poi essere “riproposto” con una vera gara al ribasso in cui a rimetterci saranno proprio gli ospiti della struttura. Infatti, il punto nodale della questione è rappresentato proprio dalle risorse messe in campo dal Campidoglio per fare fronte alle esigenze dei cani; risorse inadatte a garantire, anche nei mesi e negli anni a venire, i livelli di eccellenza raggiunti dalla struttura nei quindici anni di gestione AVCPP.

Insomma, se l'esito della gara dovesse essere confermato, il canile della Muratella, per come lo abbiamo conosciuto, non esisterà più. Le “sforbiciate” colpiranno anzitutto i lavoratori – gli attuali livelli occupazionali sono insostenibili visti gli stanziamenti messi in campo – per poi colpire, con un vero effetto domino, gli animali. Del resto, gli addetti della Muratella, esprimono grande preoccupazione non soltanto per il loro futuro, ma per quello dei cani, e a tale proposito si chiedono come un gestore estraneo al complesso mondo dei quattro zampe possa garantirne il benessere, soprattutto dal punto di vista psicologico, affettivo, emozionale. Ed è proprio per questo che i lavoratori del canile hanno accettato di proseguire le loro attività quotidiane con gli animali nonostante si trovino, dal punto di vista contrattuale, in una terra di nessuno e siano al momento senza stipendio. Con buona pace di quanti avevano parlato – in buona o in cattiva fede – di entrate da “paperoni”.

Ma il conflitto sorto sulla gestione delle strutture capitoline non è solo “questione di soldi”. Perché tale conflitto chiama in causa l'affermazione e la difesa di un principio più alto e per questo non “monetizzabile” né negoziabile: il diritto di ogni essere vivente ad essere tutelato e protetto. Un diritto che dovrebbe dunque prevalere su ogni altro genere di considerazione, soprattutto quando – e questo è caso dei cani gettati nella triste condizione di randagi – a violarlo siamo proprio noi. Evidentemente, per la giunta Marino, le cui politiche per gli animali sono assolutamente fallimentare, questo, come altri principi, può essere oggetto di valutazione economica. Eppure in campagna elettorale il messaggio e gli impegni presi erano stati ben altri.  

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