«Fate bene, fate presto. La febbre del pianeta non può attendere. Le politiche miopi, gli attendismi, gli espedienti rischiano di affossare gli obiettivi – sia pure limitati – del Protocollo di Kyoto, pregiudicando la vita di tanti, umani e non umani. E tanti, umani e non umani, stanno già pagando il prezzo del surriscaldamento globale. Occorre agire a 360° contro tutte le cause di questa epocale emergenza, specialmente quella, tanto sottovalutata, degli effetti degli allevamenti intensivi e del crescente consumo di carne, responsabili per il rilascio in atmosfera di un quinto dei gas serra». Lo dichiara Annamaria Procacci, consigliera nazionale dell'Enpa, alla vigilia del vertice sulla interconnessione tra cambiamenti climatici e modelli di sviluppo, in programma a Roma dal 27 al 29 maggio.
«Vorremmo – prosegue Procacci – che a questo tavolo sedesse una forte volontà politica di ridiscutere modelli economici e produttivi, e stili di vita che stravolgono il pianeta, quelli del mondo occidentale che i Paesi emergenti, tra cui Cina, India e Brasile, stanno adottando in modo massiccio». La Fao prevede infatti che il consumo di carne sia destinato a crescere del 73% entro il 2050, raggiungendo 465 milioni di tonnellate l'anno: nel 1950 erano circa 45 milioni. Ciò comporterà un forte incremento dei sistemi di allevamento intensivo “su larga scala” (così recita il rapporto Liverick, 2011), e tali sistemi sono fonte di preoccupazione per il loro impatto ambientale. Si calcola infatti che sulla Terra vi siano oggi tra 1,5 e 2 miliardi di bovini destinati ad essere uccisi e mangiati.
Il pascolo estensivo significa, come in Amazzonia, la deforestazione, lo sterminio della biodiversità, il rilascio in atmosfera di enormi quantità di anidride carbonica, la progressiva desertificazione dei terreni. Gli allevamenti intensivi di tantissime “macchine animali” comportano inoltre il rilascio in atmosfera di circa 100 milioni di tonnellate all'anno di metano, gas serra prodotto durante i processi digestivi; di ammoniaca, contenuta nella enorme quantità di deiezioni e responsabile per l'inquinamento delle falde acquifero; di auxinici (farmaci per l'accrescimento rapido), antibiotici e ormoni. E con gli allevamenti intensivi si bruciano anche enormi quantità di cereali, sottratte all'alimentazione umana e destinate a quella degli animali imprigionati: negli Stati Uniti infatti il 70% di queste coltivazioni agricole è finalizzato a produrre polpette.
«Se vogliamo uscire dalla morsa dell'avvelenamento del pianeta e del surriscaldamento globale – conclude la consigliera nazionale della Protezione Animali – occorrono coscienza e coraggio, e una riconciliazione con le altre specie, superando la vana presunzione di poter essere i dominatori del pianeta».