«Non sembra dubitabile che la perdita di un animale d'affezione, specie nel caso in cui il rapporto sia radicato da tempo, comporti un pregiudizio non soltanto alla sfera emotivo-interiore, ma sia suscettibile di modificare e alterare le abitudini di vista e gli assetti relazioni del danneggiato». Queste le motivazioni della sentenza con cui la Corte d'Appello di Roma ha condannato un veterinario al risarcimento del danno morale, oltreché di quello patrimoniale, per avere causato con una sua condotta negligente la morte di un cane. A rappresentare in giudizio il proprietario del cane è stata Rossella Minio, avvocato, socia della Protezione Animali e già dirigente nazionale di Enpa Onlus
Secondo quando emerso dalla documentazione prodotta in giudizio, comprendente anche l'esame autoptico sull'animale, il cane sarebbe deceduto in seguito all'ingestione di un osso che avrebbe causato una occlusione dell'esofago con lacerazione dei tessuti e con un conseguente versamento di liquido. Una circostanza, questa, che, come confermato in appello, avrebbe potuto essere accertata con l'ausilio di esami clinici di routine, se il veterinario non avesse sbagliato diagnosi e successivamente non fosse stato in grado di correggere l'errore. Insomma, sembra suggerire la Corte d'Appello, se il professionista avesse individuato il problema in modo tempestivo, probabilmente avrebbe potuto salvare l'animale.
Ma la Corte d'Appello è stata anche molto chiara sulla parte del ricorso con cui si contestava il riconoscimento del danno morale ritenendolo insussistente. «Nel caso di un cane da compagnia – scrivono i giudici di secondo grado – è fin troppo noto come le abitudini dell'animale influiscano sulle abitudini del padrone e come il legame che si instaura sia di una intensità particolare, sicché affermare che la sua perdita sia “futile” e non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori».
Nelle parole della Corte d'Appello vi è dunque il pieno e incontestabile riconoscimento del valore psico-affettivo della relazione uomo-animale. «Un valore in sé – commenta la presidente nazionale dell'Enpa, Carla Rocchi – che risulta pertanto meritevole di adeguata tutela e di protezione giuridica, a prescindere dagli aspetti di natura patrimoniale. Considero tale sentenza molto importante perché contribuisce a fare chiarezza in un ambito giurisprudenziale dove non vi possono e non di devono essere dubbi interpretativi».